LA LANTERNA - Storia e sviluppo del complesso monumentale del Faro di Genova

LA LANTERNA - Storia e sviluppo del complesso monumentale del Faro di Genova
Il direttore del MuMa di Genova (Musei del Mare e delle Migrazioni): Dott. Pierangelo Campodonico, ha tenuto un importante discorso il 2 luglio scorso a Palazzo S.Giorgio, quando la lanterna di Genova è stata premiata come Faro dell’anno da IALA (International association of marine aids to navigation and lighthouse authorities). Campodonico, che ha ricevuto dal Collegio Capitani il Premio San Giorgio nel 2023, ripercorre la storia della Lanterna di Genova con tanti particolari interessanti; come preannunciato sul nostro giornale, pubblichiamo qui di seguito:



Come direttore dell’Istituzione Mu.MA – Musei del Mare e delle Migrazioni, che custodisce e gestisce il patrimonio storico del faro di Genova, sono lieto di ricostruire la lunghissima storia della Lanterna.

Una storia importante, che ci permette di collegarci ad alcune domande.

Quando nascono i fari?

Perché nascono?

La storia del faro di Genova inizia addirittura prima della nascita della città.

I nostri storici e i nostri archeologi sono convinti che un fuoco ardesse durante la notte in cima al promontorio che separa, a Ovest la spiaggia di Sampierdarena, lunga ma esposta ai venti, e a Est l’ampia insenatura – che oggi è il centro del porto – ma che in antichità era una spiaggia con due caratteristiche molto importanti.

Era riparata dai venti e grazie ai torrenti che scendevano dalle alture, permetteva agli equipaggi di rifornirsi di acqua.

È così che, a Genova, prima della città nasce il porto.

O, almeno, il porto come lo intendevano gli antichi: una spiaggia dove tirare in secco le imbarcazioni, trovare l’acqua da bere e la legna per fare il fuoco.

Quando questa presenza si intensifica, prima con gli Etruschi e poi con i Romani, il popolo che abitava sui monti, lontano dai pericoli del mare, “scende” verso la riva, porta i suoi prodotti, pelli, manufatti, e le scambia con grano, vino e le merci dei mercanti di passaggio.

Pensiamo, allora, che il fuoco sul promontorio che sarebbe stato poi chiamato Capodifaro (Capo del faro), venisse acceso dai Liguri per attirare le navi di passaggio e, con la consuetudine, segnalare di dirigersi verso l’approdo orientale, più sicuro e, contemporaneamente la presenza e la disponibilità delle genti locali a fare scambi e perciò, commercio.

Per questo pensiamo che il faro è alle origini del porto e della città di Genova.

Genova non è un porto romano: nella grande “provincia” tra l’Italia e la Gallia, altri sono i porti su cui i romani costruiscono in età imperiale: Albinganum (Albenga), Ventimiglia e altri scali.

Ma Genova è un approdo sicuro: e con il tempo, si stabiliscono genti di etnie diverse.

Sono mercanti e artigiani provenienti da altre parti del Mediterraneo e dall’Impero: ebrei, siriaci, greci e anche alcuni dei Liguri che lasceranno le tribù dell’interno per vivere in città.

Tra il V e il VI secolo, mentre i porti imperiali declinano, a Genova sbarcano e si insediano i bizantini.

È un passaggio fondamentale.

I bizantini insegnano ai locali a costruire le loro navi, e i genovesi, con il tempo diventeranno tra i migliori costruttori navali del Mediterraneo.

E il faro?

Il fuoco di notte sul promontorio continua a indicare la separazione: a Est, l’approdo sicuro, quella che da allora viene chiamata “Ripa Maris”, oggi Sottoripa, alle nostre spalle a poche decine di metri di distanza, a Ovest la spiaggia aperta ma anche pericolosa.

Noi non sappiamo se la catasta di legna, sopra la quale ardono fascine di erba secca fosse accesa tutte le notti o soltanto a volte, magari nelle notti di cattivo tempo.

Ma dopo l’Anno Mille, il “fuoco” sul Capo di Faro diventa non solo una consuetudine, ma un vero e proprio servizio ad uso dei naviganti.

Il primo documento che ci indica che a Capo di Faro è stata costruita, in prossimità del fuoco una torre, è del 1128.

Così, fra quattro anni potremo celebrare i 900 anni di storia della Lanterna, confermando che dopo la Torre di Hercules, faro de La Coruna, e al faro di Kõpu sull'isola di Hiiumaa in Estonia, siamo il terzo faro esistente più antico del mondo.

Cosa ci dice questo documento?

È un decreto dei Consoli per la guardia della città di Genova.

Si fa riferimento a un posto di guardia sul Promontorio, al quale erano comandati gli uomini provenienti dai villaggi situati a occidente della città.

Questi dovevano sorvegliare la via d’accesso occidentale alla città, detta Via “Francigena”, perché conduceva in Francia.

In questa geografia cittadina, la torre sul Promontorio non ha solo una funzione di guida delle navi di passaggio o dirette allo scalo.

La torre a Capo di Faro ha una funzione di avamposto, di punto di avvistamento, di estrema guardia occidentale della città, sul mare e sulla terra.

La via di Francia costituisce per la città un’arteria vitale e anche un pericolo.

Si può immaginare così che, le due funzioni, quella del fuoco e quella della sorveglianza, all’inizio siano state distinte: si sia continuato a fare il fuoco sulla sommità di Capo di Faro e, probabilmente, alle spalle dello stesso, si sia edificata la prima torre, con funzioni di presidio e avvistamento.

Per Genova, questi anni del XII e XIII secolo rappresentano una epoca di forte sviluppo.

Del porto, del commercio, della città.

In questo contesto, la torre di Capo di Faro acquisisce la sua funzione importante.

Nei documenti è: “ad iter nocte introentibus demonstrandum”, nel latino medievale significa “a mostrare la strada a coloro che di notte entrano in porto”.

Ma come voi sapete, i servizi costano.

Così i responsabili del porto – un organo di governo chiamato “Salvatores portus et moduli” (Conservatori del porto e del molo), tanto che ne nasce una tassa: si chiama il “drictus ignis”, la tassa sul fuoco.

Già nel 1161, i Consoli del Comune di Genova decidono che ogni padrone di nave, al suo approdo in porto, dovrà pagare “pro igne faciendo in capite fari”, “per il fuoco che si fa a Capo di Faro”.

Passano pochi anni e nel 1166, vengono accorpati sia la tassa per il fuoco, sia quello per l’utilizzo del molo: “drictum moduli et ignis”. A quest’epoca, infatti, era già utilizzabile il primo tratto del Molo Vecchio, costruito in corrispondenza della chiesa di San Marco: una banchina accessibile, che permetteva di accostare l’imbarcazione e sbarcare le merci direttamente.

Una grande agevolazione, perché al contrario, sulla Ripa Maris, si dovevano tirare in secco le imbarcazioni, per poter provvedere allo sbarco.

Questo mette in evidenza un elemento molto importante in tutta la storia della Lanterna.

Il faro, come i moli, come il bacino chiuso e protetto della Darsena, è da sempre una struttura portuale, anche se distante, per secoli, oltre un miglio dal centro del porto, ne è parte essenziale e riconosciuta.

Dal XII secolo, il “faro” – anche se è un semplice fuoco notturno, acceso tutte le notti alla sommità della punta estrema del Promontorio – è uno degli elementi costitutivi dello scalo genovese.

Un ulteriore decreto, nel 1139, conferma la funzione della guardiania a Capo di Faro, quindi sappiamo che il faro e la torre sono custoditi e operativi.

Poi, per due secoli, non ci sono documenti che ci raccontino della Lanterna.

Ma nel 1318 la torre di Capo di Faro viene coinvolta nella guerra tra le due fazioni che, a Genova come nel resto d’Italia, si scontrano per la lotta per il potere.

Da una parte i ghibellini, il partito dell’imperatore, dall’altra i guelfi, il partito del papa.

Genova è guelfa: le famiglie Fieschi e Grimaldi, con i loro armati, controllano la città.

Ma il territorio intorno è controllato dai feudatari ghibellini Spinola e Doria che chiamano in aiuto altri potenti alleati, come i Visconti di Milano e gli Scala di Verona.

L’esercito degli alleati ghibellini si riunisce e scende su Genova e la circonda.

Fuori dalla città, l’unico avamposto è proprio la torre di Capo di Faro, dove i guardiani sono sette soldati guelfi asserragliati.

Presi di sorpresa, i soldati non riescono a lasciare la torre in tempo.

O forse, obbediscono agli ordini ricevuti: dalla torre, infatti, potevano sorvegliare meglio gli spostamenti delle truppe a Ovest della città.

La torre della Lanterna, deve la sua straordinaria altezza (che oggi è di 77 metri, che sopra lo scoglio su cui poggia le fanno raggiungere i 117 metri sul livello del mare ed è il faro marittimo più alto d'Italia e del Mediterraneo e il secondo in Europa dopo il Faro dell’Île Vierge), proprio a esigenze militari.

Possiamo dire che, la Lanterna è il punto di osservazione più alto della città, verso il mare, ma anche verso terra e, la straordinaria vista che si osserva, dalla cima del faro lo conferma.

È l’occhio della città di Genova.

E quello che vede, lo comunica, facendo segnali al centro del potere politico e militare del comune di Genova, la Torre Grimaldina del Palazzo Ducale, che visiterete questa sera.

Le due torri sono in collegamento visivo costante e con un apposito codice di segnalazione, la torre informava direttamente i governanti dei movimenti delle navi in mare e delle truppe a terra.

Questo noi lo possiamo vedere nella più antica rappresentazione della Lanterna.

È un registro delle spese del porto e sulla copertina, uno scrivano ha disegnato il faro come si presentava nel 1371, anno in cui il registro è stato iniziato.

Non è un disegno “decorativo”.

Il disegnatore vuole mostrare la torre di Capo di Faro come un avanzato sistema di comunicazione. Perché la torre-faro comporta spese elevate e i controllori devono avere coscienza di questa importanza.

Molti studiosi si sono fermati all’architettura della torre, costituita da un corpo centrale, elemento originale del complesso, e da due importanti aggiunte: sicuramente la muratura inferiore, con porta d’accesso, che è il doppio muro realizzato in difesa nel 1323 e, infine, la “torre superiore” quella che poggia sulla torre originaria.

Il disegno indica un sistema complesso: il faro, almeno dal XIV secolo aveva assunto la forma della “doppia torre”, un elemento che, negli anni successivi sarà sempre confermato dall’iconografia.

Ma il disegno non rivela solo la struttura architettonica.

Una serie di dettagli, mostrano le diverse “funzioni” della torre stessa.

La prima, e forse più importante è la presenza, sulla sommità della torre più alta di una struttura ogivale probabilmente a mattoni.

È qui che viene collocato il fuoco, probabilmente all’inizio in una specie di “forno” per poi essere sostituito, negli anni successivi da una grande lampada alimentata a olio.

Al contrario dei fari dell’Europa del Nord, non abbiamo notizia che a Genova sia stato usato il carbone per alimentare la luce della Lanterna.

Ancora successivamente, la lampada verrà protetta da lastre di vetro, bombate, come quelle della lanterna di galea ospitata al nostro Galata Museo del Mare (XVI secolo) e che avevano la funzione di moltiplicatore della luce interna.

Una evoluzione resa necessaria per proteggere il fuoco notturno anche in occasione di pioggia e di vento, considerate che le condizioni climatiche, sulla cima del promontorio sono spesso estreme, con vento fortissimo, caduta di fulmini e pioggia intensa.

Nel 1326, il cronista genovese Giorgio Stella annota che “In quest’anno fu fatta una grande lanterna sulla torre del molo e sulla torre di Capo di Faro, acciò che con lampade in esse accese, nelle notti oscure i naviganti conoscessero l’adito alla nostra città”.

Nel disegno, alle estremità delle due terrazze merlate sono presenti quattro elementi:

• un palo con una coffa attaccata;

• una banderuola di legno;

• un uccello;

• una vela;

Ciascuno di questi elementi è un mezzo di segnalazione codificata.

Il primo, e il più importante è rappresentato dai “coffini”, detti anche “zerbini”.

Sono semplici strutture di legno, rivestite di tela e impeciate, per renderle sia resistenti al fortissimo vento del promontorio, sia facilmente visibili anche in controluce.

I coffini venivano appesi a uno o più pali posti agli angoli della terrazza e potevano essere sovrapposti.

Il loro scopo era segnalare la presenza, in mare, di una o più imbarcazioni non identificate.

Nel XVI secolo, si arrivò a variare la forma dei coffini in due tipologie fondamentali: a triremibus, per indicare che si trattava di galee in avvicinamento, o a navibus, per indicare che si trattava di navi a vela.

Il funzionamento era semplice: la vedetta sulla sommità della Lanterna, individuava l’imbarcazione in avvicinamento, la direzione e il tipo: a questo punto il guardiano sceglieva tra la sua dotazione il “coffino” adeguato e lo appendeva ai pali che sporgevano dalla torre.

Se le navi erano più d’una, ne poneva diversi sovrapposti, fino a un massimo di quattro. Se le navi erano cinque, metteva un coffino e, nella terrazza superiore alzava la vela (così come è rappresentata dal disegno del 1371).

Con la vela issata, ogni “coffino” rappresentava cinque navi, cosicché, con venti navi presenti in avvicinamento, il guardiano issava quattro coffini e la vela. La direzione di provenienza era data dalla posizione del palo di sostegno: con navi provenienti dalla direzione di Portofino, il palo veniva a sinistra dello stemma della Repubblica.

Con palo a destra, significava che la direzione di avvicinamento era quella di ponente.

Meno chiaro è il significato delle “bandiere” (in tessuto) e delle “bandierette” (in legno dipinto), pure rappresentate nel disegno: è possibile che si tratti di segnalazioni dirette alle navi della squadra della Repubblica.

Infine, l’uccello presente sulla terrazza superiore può significare che venivano usati piccioni viaggiatori per inviare alla Torre di Palazzo Ducale descrizioni più dettagliate articolate di quanto si poteva vedere dalla Lanterna, come movimenti di truppe o di navi.

In conclusione, il disegno del 1371, mostra che la Lanterna, già in quegli anni era diventata l’“occhio” di Genova.

Era un punto di visione e di controllo sia del mare che del territorio intorno alla città.

Probabilmente non era l’unico: lungo la costa erano presenti altre torri, altre guarnigioni, in comunicazione tra loro.

Di giorno con segnali fissi, come i coffini e le vele, e di notte con l’esposizione di lume chiaro in caso di assenza di avvistamenti, oppure con una luce intermittente per segnalare navi sconosciute in arrivo.

Tutte le comunicazioni venivano dirette a Palazzo Ducale, al cuore stesso del sistema e per porre in allarme e attivare le contromisure, come l’uscita della squadra di galee della Repubblica dalla Darsena o altri provvedimenti.

Questo sistema di comunicazione, nel corso degli anni, si diffuse in tutto il mondo occidentale, come si vede da molte riproduzioni di fari, sia francesi che britannici, come la celebre immagine del Faro di Plymouth realizzata dall’incisore italiano Albrizzi nel 1753.

Nel 1326 una nuova torre viene realizzata al lato opposto del porto, sul molo che è stato appena costruito per difendere il porto dalle mareggiate e per accogliere le nuove navi di grandi tonnellaggio: cocche e caracche.

Da questo momento, per un paio di secoli, Genova diventa la città dei due fari.

La prima rappresentazione a stampa di Genova è di Michael Wohlgemut, una xilografia del 1483, presente nel volume “Cronache di Norimberga”.

Pochi anni più tardi, la Lanterna tornerà ad essere un punto strategico fondamentale.

Per tutto il XV secolo, su Genova è forte l’influenza della corona francese che, per anni, si trasforma in una diretta dominazione.

Ma agli inizi del 1500, i genovesi manifestano più forte la volontà di liberarsi dal giogo francese, e si ribellano.

Nel 1507, il re francese Luigi XII decide di risolvere personalmente la questione sottomettendo i genovesi. Raduna un esercito, scende lungo la via Francigena, circonda la città e la mette sotto assedio.

La città, costituita da circa 100.000 abitanti, non può resistere a lungo e dopo qualche settimana si arrende.

Il re impone ai genovesi un tributo straordinario di 300.000 scudi.

Una cifra enorme, che solo una città ricca come Genova si può permettere di pagare.

Il re francese non si fida dei genovesi. Sa che potranno ribellarsi ancora: così decide che i soldi ricevuti siano destinati a costruire due fortezze: una nelle colline sopra la città – sarà chiamato le Chatelet – l’altra sarà invece costruita intorno alla torre della Lanterna.

La fortezza intorno alla Lanterna sarà chiamata “la Briglia”, proprio perché avrà il compito di “imbrigliare” i genovesi e costringerli a restare obbedienti al sovrano.

I dipinti dell’epoca ci aiutano ad avere una immagine della fortezza.

La Lanterna è inserita al centro del complesso, ed è la torre più alta.

Una grande torre rotonda la protegge dal lato di levante, verso la città, mentre una torre più piccola la difende verso ponente.

Verso mezzogiorno si spingono due muraglioni che terminano con due torri quadrate, a proteggere il camminamento che porta direttamente all’attracco all’estremità della scogliera, protetta da una piccola torre.

Un molo molto prezioso perché permetteva alla fortezza di ricevere i rifornimenti dal mare ed essere così resistente agli assedi.

Dopo qualche anno, i genovesi si ribellano ancora al controllo e nel 1512, parte l’assedio alla fortezza della Briglia. Mentre il Castelletto, circondato, si arrende, la “Briglia” resiste, rifornita dal mare di soldati, munizioni e viveri.

Solo quando la flotta genovese prenderà il sopravvento e riuscirà a bloccare i rifornimenti, la fortezza si arrende.

È il 26 agosto del 2014.

E “quel giorno stesso il Doge di Genova diede inizio a rovinare la fortezza e non si interruppe la distruzione fino a che la fortezza tutta non fosse cancellata”.

Restò solo la “mezza torre”, cioè la parte bassa della Lanterna perché la parte superiore era stata abbattuta a colpi di bombarda dagli stessi genovesi durante l’assedio.

Nel 1543, il governo della Repubblica decide che il faro è troppo importante per essere lasciato in rovina e allora decide di ricostruirlo: il finanziamento è a spese del Banco di San Giorgio, la principale istituzione finanziaria della Repubblica che aveva la sua sede proprio in questo edificio.

Con il 1543, la Lanterna assume il suo aspetto definitivo e quindi l’edificio ha quasi cinque secoli di età. Per l’importanza e il costo della ricostruzione, il Banco decise di posizionare una targa, visibile ancora oggi.

Fu posta in opera una nuova lanterna con cupola costruita in doghe di legno di rovere e ricoperta con fogli di rame e di piombo fermati con ben 600 chiodi di rame.

La lanterna era formata da un'ampia vetrata i cui vetri, di notevole spessore e peso, erano forniti, così come già dal 1326, da maestri vetrai dapprima liguri e in seguito veneziani.

I vetri della lanterna spesso esplodevano, si spaccavano o si inclinavano a causa della violenza del vento, delle oscillazioni della torre, della deformazione dei montanti in ferro per la caduta di fulmini e per avvenimenti bellici, per cui ne erano richiesti in gran quantità.

Ai fanalisti, custodi della Lanterna, si faceva obbligo di vivere con la famiglia all'interno della torre e "di curare che i vetri fossero sempre tersi e puliti affinché la luce della lampada apparisse nitida e brillante".

Ma la Lanterna continuava a rappresentare un potenziale pericolo.

La Repubblica di Genova aveva vicini potenti che insidiavano la città e il porto.

Così, nel 1626, gli ingegneri militarti e i governanti della Repubblica studiano una nuova soluzione.

La Lanterna diventa il punto di partenza delle Mura Nuove, un complesso di 19 chilometri che parte dalla Lanterna, raggiunge la cima delle colline intorno a Genova e scende fino al suo lato orientale, dove si congiunge con le Mura a Mare.

Con questa conformazione, Genova affronterà secoli difficili: conflitti, invasioni.

A iniziare dal bombardamento dal mare da parte della flotta francese nel 1684, che distrusse la Lanterna alla sommità, fino all’assedio inglese in epoca napoleonica del 1802.

La Lanterna resterà, per tutta quest’epoca, la cerniera tra il mare e la terra, il punto di partenza delle opere difensive che proteggono la città, in gran parte ancora oggi esistenti.

In conclusione: la doppia torre della Lanterna è stata e rimane una componente essenziale dell’iconografia della città, quella che permette di riconoscere a prima vista il nostro porto.

Così, il nostro faro è presente anche nei racconti stessi dei viaggiatori, tanto che non si potrebbe pensare a una Genova senza la Lanterna.

Testimone di una storia secolare, custode della più bella veduta su tutta la città e il suo porto, ancora oggi, l’antico occhio della Repubblica, guarda lontano, non solo nello spazio ma anche e soprattutto nel passato della nostra storia.


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